Omelia domenicale

2 febbraio – Segno di contraddizione

Nella prima lettura di oggi il profeta Malachia, ultimo profeta dell’Antico Testamento, annuncia l’invio di un messaggero, il nuovo Elia che preparerà il popolo all’incontro con il Messia. Poco dopo i versetti che abbiamo letto oggi il profeta dice che questo messaggero “convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri”. Nel vangelo di Luca, quando l’arcangelo Gabriele annuncia la nascita del Battista riprende queste parole ma, in modo provocatorio, toglie la seconda parte della frase dicendo che il compito di Giovanni sarà quello di “ricondurre i cuori dei padri verso i figli”.

Convertirsi ai figli mi sembra un tema molto attuale, almeno per la nostra comunità che da diversi mesi sta cercando di ascoltare i giovani. È difficile, perché il loro linguaggio ci risulta ostico, quasi incomprensibile, eppure il vangelo è chiaro: siamo noi adulti, noi padri e madri che dobbiamo convertire il cuore e fare in modo che diventi capace di accogliere ed ascoltare.

È un compito difficile, che spesso confondiamo con l’idea di rinunciare al nostro ruolo educativo e lasciare che scelgano da soli. Non credo sia questo che ci dice la Parola di Dio. Sono tanti i genitori di oggi che si lasciano tiranneggiare dai figli che fin da piccolissimi vogliono decidere, non solo per loro, ma anche per gli adulti: a tre anni decidono come vestirsi, magari con i sandali in pieno inverno, a sei dove andare in vacanza e poi, crescendo, continuano ad imporre le loro scelte.

Questo è certamente sbagliato, ma non toglie il fatto che il vangelo dice a noi adulti di ricondurre il cuore a loro. Non ho nessuna ricetta ma il vangelo di oggi può dirci qualcosa. Simeone ed Anna sono due persone che alla sola vista di Gesù si riempiono di gioia e dicono che la loro attesa è finita, è compiuta. Finalmente si apre un futuro nuovo, una possibilità nuova.

C’è qualcosa di strano e contradditorio in due vecchi che vedendo un neonato esultano per il futuro che non potranno vedere. Eppure, qui c’è veramente la profezia: parlano pieni di Spirito, annunciano un via di futuro, con coraggio indicano una direzione. La profezia è sempre connotata da una certa urgenza, ma quello che emerge dal racconto è che ambedue hanno vissuto un’attesa che riguarda tutta la loro vita. Di fatto nella vita hanno solo aspettato ed ora vedono un bambino che sarà pure il messia, ma che loro non potranno vedere crescere, perché il loro tempo è finito.

La dimensione profetica è la capacità di indicare, magari anche cominciando a viverlo, quello che sarà e che nessuno, o pochi in questo momento vivono. Simeone ed Anna dopo questo incontro rientreranno nell’ombra del tempio da cui sono usciti, eppure tra tutta quella polvere e quella muffa, hanno saputo scorgere una lama di luce che ha dato senso ad un’attesa che è durata tutta la loro vita.

Pieni di gioia non hanno la pretesa di vedere il compimento del Regno, a loro basta questo segno iniziale che è un neonato, e sono felici per chi verrà dopo di loro, sono capaci di sognare un mondo in cui loro non ci saranno ma che darà nuove possibilità a chi è vivrà il tempo che si apre. Questo è il compito di chi è adulto e anziano: riconoscere un segno di futuro e indicarlo.

Nelle istanze dei giovani c’è il grido del futuro e noi dobbiamo imparare a trovare nelle loro parole, a volte sconclusionate e contradditorie questo segno per comprendere ciò che io posso fare adesso perché ci sia vita per loro. Il grido dei giovani, per quanto fatto di parole che noi fatichiamo a comprendere è il grido dell’ecologia, della pace, della tolleranza, dell’apertura.

E anche quando il grido appare ambiguo e contraddittorio, non dobbiamo dimenticare che, spesso, la contraddizione è più nelle orecchie di chi ascolta che nelle parole di chi parla. Simeone stesso dice a Maria che Gesù sarà segno di contraddizione perché, se da una parte si sottomette alla legge, come racconta il vangelo, dall’altra annuncia un evidente superamento del tempio, della legge e di tutto ciò che riguarda questo mondo.

E questo ci lascia sconcertati perché la tensione tra obbedienza e superamento della legge ‘spacca’ in due la coscienza e ci costringe a prendere una posizione che non è quella comoda di chi si adagia sulle solite cose ma quella pericolosa di chi cammina sul filo. Ascoltare i giovani non significa dar loro ragione o accettare che scelgano da soli, ma accettare che siano per loro stessi e per noi segno di contraddizione e stimolo alle coscienze, per vivere liberi nel futuro che abbiamo saputo preparare per loro.

Don Domenico Malmusi

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