28 Maggio – Lo Spirito bizzarro
Protagonista della solennità di oggi è lo Spirito santo, che è un personaggio piuttosto bizzarro, forse il più bizzarro di tutta la Bibbia. Non ha un volto preciso, ma tante identità: fuoco, vento, colomba… Non ha un nome solo, ma tanti nomi: spirito, paraclito, spirito della verità… Non rimanda a un’unica esperienza, ma a tante esperienze: il perdono, le diverse lingue, la varietà dei carismi, la missione… Manifesta una certa fluidità.
Oggi è molto di moda parlare di identità queer che significa appunto bizzarro, strano, curioso, eccentrico. È un termine legato al mondo LGBT+, per questo “Identità queer” è qualcosa che ci fa paura, ci mette a disagio. L’associamo subito a qualcosa di morboso, perverso, pornografico. Ma se invece di scandalizzarci provassimo ad ascoltare persone che si definiscono così, situazioni che vengono etichettate in questo modo, forse riusciremmo a capire qualcosa di più di queste storie e anche qualcosa di più del Dio in cui crediamo, quel Dio uno e trino (e domenica prossima festa della Trinità rifletteremo su questo) di cui lo Spirito santo è certamente la più strana e curiosa manifestazione.
Le tre letture che abbiamo ascoltato ci presentano tre manifestazioni diverse dello Spirito: la prima riguarda la capacità di comunicazione, la seconda la ricchezza della diversità e la terza il perdono.
Sulle prime due abbiamo cercato di lavorare in questi ultimi mesi. Tante volte nei cammini formativi sono usciti questi temi della diversità e della comunicazione. Siamo tutti diversi, ciascuno con un dono per il bene di tutti. Ma quanto diversi? Fino a che punto la diversità è ricchezza e quando invece diventa qualcosa di intollerabile? Va bene essere diversi ma non troppo… e nemmeno troppo poco! Perché se sei molto simile a me scatta subito la competizione, la gara, l’invidia. Se sei troppo diverso non posso capire i tuoi gusti, i tuoi desideri, i tuoi dolori… quindi non posso interagire con te.
Eppure, è lo stesso Spirito che cade su tutti e a tutti dà un dono. Il nostro compito è vedere quel dono anche se chi lo possiede viene da un altro paese, un altro mondo, un altro universo. Non so se sarò mai in grado di comprendere l’universo di chi sente prigioniero di un corpo sbagliato, di chi è attratto da persone o cose diverse da chi o cosa attrae me, di chi deve convivere con la malattia e l’handicap, di chi è di pelle scura in un mondo dominato dai bianchi… da solo certamente non comprendo, però posso ascoltare. Posso ascoltare le loro storie, le loro vite, e scoprire che un dono c’è, che con loro posso comprendere un po’ di più il mondo, me stesso, lo Spirito che soffia dove vuole.
Nella prima lettura noi sottolineiamo sempre che gli apostoli parlano lingue diverse, ma non è così: sono gli altri che sono diventati in grado di ascoltare. Infatti dicono: “Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo di paesi diversi e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio” sono le loro orecchie che sono cambiate, che sono abilitate ad ascoltare. Chiediamo il dono di saper ascoltare anche le lingue e le storie diverse.
Nel vangelo il tema è ancora più difficile e profondo: viene posta una stretta relazione tra lo Spirito, la comunità e il perdono: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. È una grandissima responsabilità. È vero che ci sono cose che sono troppo pesanti da perdonare e chiediamo a Dio di farsene carico, ma nella quotidianità della vita è nostra responsabilità portare agli altri il perdono.
Noi siamo più portati a fare prove di forza, a voler dimostrare che abbiamo ragione, ad occuparci di tutto e di tutti, a voler vincere in ogni campo, ma quello che ci viene chiesto è porre in atto prove di misericordia. Perdonare significa donare attraverso le ferite, porre una sovrabbondanza d’amore che vince l’odio e la violenza che abbiamo subito.
L’esperienza della Pentecoste è proprio il passaggio dalla prova di forza alla prova di misericordia. Forse gli apostoli si aspettavano che seguendo Gesù sarebbe arrivato il successo, il riconoscimento; invece, l’esperienza era stata deludente e per certi aspetti fallimentare. A questo punto non restava altra via che “chiudersi” tra le proprie quattro mura. Lo Spirito che spalanca le porte e dona la capacità di farsi comprendere potrebbe essere interpretato come la capacità di parlare un linguaggio di cui tutti abbiamo necessità, quello del perdono e della misericordia. Un linguaggio che, per quanto diversi, lontani, bizzarri, strani comprendiamo tutti, perché l’amore è l’unico linguaggio che apre tutte le orecchie e arriva al cuore.
Don Domenico Malmusi